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SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Quattordici persone sono finite in manette nell’ambito della maxi operazione antidroga messa a segno dalla Polizia di Stato tra Piceno e Teramano.
Ad essere smantellato un clan che, secondo le indagini portate avanti dalla Squadra Mobile della Questura di Ascoli, Sisco e dirette dalla Procura Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di Ancona, stava prendendo il comando della piazza dello spaccio nella Riviera delle Palme.
I reati contestati sono traffico illecito di sostanze stupefacenti, con uso e disponibilità di armi da fuoco e da guerra. A capo Vincenzo Marino, detto lo “zio”, di qui il nome dell’operazione “Grandsons 2”.
Il 50enne, in passato legato alla ‘Ndrangheta, era già in carcere e condannato per traffico di stupefacenti, ricettazione ed evasione e che da anni viveva a Porto d’Ascoli.Non è infatti passato inosservato all’alba un elicottero che all’alba ha sorvolato con insistenza i cieli della zona sud di San Benedetto, ma il blitz, che ha coinvolto 100 militari, ha riguardato a che i comuni di Monteprandone (Ap) e Controguerra (Te).
Secondo gli investigatori, la base operativa era proprio nella sua abitazione, un’immobile costruito abusivamente con leoni e mosaici all’ingresso, simbolo del potere dell’organizzazione, che aveva legato con alcuni soggetti albanesi.
E’ qui, nell’abitazione non distante dalla Strada Salaria, che le attività criminali venivano programmate, ripartite e in parte realizzate, con il confezionamento della sostanza stupefacente. Nascoste in giardino sono state trovate pistole, fucili, una bomba a mano utilizzate per intimidazioni e ritorsioni non solo nei riguardi dei concorrenti nel mercato della droga, soprattutto cocaina, ma anche verso suoi stessi sodali e verso chiunque volesse provare a sfidarlo.
Emblematico al riguardo, risultava essere un episodio accaduto nel contesto di un’attività di spaccio, in cui il principale indagato usava violenza nei confronti di un soggetto straniero vicino al gruppo, mettendolo in condizione di inferiorità e brandendo verso lo stesso un machete col quale lo costringeva ad aderire alle sue disposizioni, così imponendogli la sua condizione di vertice. Insomma l’associazione criminale, in cui anche donne e minori svolgevano mansioni operative aveva assunto la fisionomia di un clan.
Gli associati si erano insediati nel territorio della provincia di Ascoli Piceno seguendo gli schemi tipici delle ’ndrine calabresi e, alcuni di loro, continuavano a commettere reati anche dal carcere, cedendo droga e comunicando all’esterno con cellulari e pizzini.
Tra le figure di spicco anche albanese, 33enne, pregiudicato per reati in materia di stupefacenti, residente in un comune della vicina provincia di Teramo, che risultava interessato ad una coltivazione di una piantagione di marijuana in Spagna. Nei prossimi giorni, gli indagati potranno fornire la propria versione dei fatti nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip.
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