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ANCONA – Subito dopo la sentenza al Tribunale di Ancona, Fazio Fabini, il papà di Emma, ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella per esprimere tutto il proprio dolore.
“Qualcuno dirà: giustizia è fatta”, esordisce Fabini.
“No – prosegue il papà di Emma - io la giustizia la intendo in modo diverso. Quasi sei anni per avere una risposta dallo Stato sono troppi. Al di là del giudizio sulla sentenza. È complicato condurre un processo come quello appena concluso, ma si dovrebbe sentire l’obbligo di fare meglio.
Non è facile scrivere queste parole, come non è stato facile assistere alle interminabili udienze in tribunale. Mantenere obiettività nel giudicare il procedimento giudiziario e, contemporaneamente, avere davanti agli occhi l’immagine di mia figlia Emma. Spesso le udienze sono state lunghe ed estenuanti. Ripetitive nella ricerca di una verità diversa da quella che, fin da subito, sembrava evidente.
Le ricordo i fatti. La sera fra il sette e l’otto dicembre del 2018 mia figlia Emma con alcune compagne di classe ebbe il permesso di partecipare ad una serata in discoteca. Per noi genitori era la festa dei licei che coincideva con il dj set di un cantante di nome Sfera Ebbasta. Noi, come gli altri genitori, abbiamo dato per scontato che, essendo aperta, la Lanterna Azzurra di Corinaldo avesse tutte le caratteristiche di sicurezza richieste ad un locale accessibile al pubblico. Così invece non era, perché alla prima criticità - un fuggi fuggi causato dalla presenza di spray al peperoncino nell’aria - si verificarono delle cadute lungo le uscite di sicurezza che provocarono la tragedia. Cinque adolescenti e una giovane mamma persero la vita, più un centinaio di feriti.
Mia figlia Emma è morta. Aveva solo quattordici anni. Oltre la vita le è stato tolto anche il diritto di replica.
Se avesse potuto avere voce, in tribunale avrebbe detto questo.
"Sto ballando per la prima volta con le mie amiche. Urlo nelle loro orecchie - il volume della musica è altissimo - che questo è il momento più bello della mia vita. Poi questo odore urticante e aspro nell’aria che mi impedisce di respirare. Fuggo verso l’esterno, verso l’uscita di sicurezza. Ma qui, è tanto buio. La gente urla e tanti sono caduti su questi scalini irregolari. Mi appoggio alla ringhiera che, improvvisamente, cede alle mie spalle. E cado con tanti corpi sopra me. Ridatemi l’aria. Fatemi respirate". Non riesco a pensare ai suoi ultimi cinque minuti di vita. Tanto occorre per morire soffocati.
Quando ho questi pensieri, mi rimane difficile accettare le lungaggini processuali. Altrettanto difficile mi rimane assistere ai voli pindarici di eccellenti professionisti che si sono attardati nella estenuante ricerca di cavilli, nell’interesse degli imputati. Siamo sicuri che nella "giusta" ricerca dell’equilibrio processuale non ci siamo dimenticati delle vittime? Perché è questo quello che io ho percepito. I nostri figli sono morti e noi siamo stati condannati ad una vita di sofferenza. Meritiamo rispetto. Non esistono solo gli imputati.
Non dimentichiamo la costante presenza in tribunale di noi, familiari delle vittime. Abbiamo rinunciato a giorni di lavoro e giorni di ferie pur di essere presenti. Lo abbiamo fatto nel rispetto dei nostri cari. Rispetto che non hanno avuto gli imputati, che, non essendo obbligati alla presenza in aula, salvo qualche raro episodio, non hanno partecipato alle udienze. Non hanno reso testimonianza in aula perché la legge glielo permette. E allora Le chiedo ancora: è questo il giusto processo, il rispetto degli imputati? Siamo sicuri di rispettare nello stesso modo anche le vittime innocenti alle quali è stato sottratto il bene più prezioso: la vita?
Sono consapevole della mia parzialità ma credo di essere in buona compagnia. Nella nostra povera Italia si susseguono una dopo l’altra inconcepibili tragedie e le vittime secondarie di questi eventi, hanno un filo rosso che le unisce. Un dolore continuo per il lutto ma anche un costante senso di frustrazione. Per il tempo trascorso prima della sentenza, per la consistenza della pena, per la lontananza delle istituzioni, per la, spesso, frettolosa riabilitazione dei colpevoli.
Ci tengo a precisare che non sono giustizialista e forcaiolo. Non concepisco la pena di morte e le punizioni corporali. Ritengo la difesa un diritto imprescindibile dell’imputato. Anzi, se gli imputati avessero dimostrato un minimo di pentimento avrei versato lacrime con loro per quello che è successo. Perché tutti possiamo compiere degli errori. Invece nessuno di loro ha pronunciato parole di cordoglio o partecipazione.
È mio dovere dare voce ad Emma. Rispettare e far rispettare la sua immagine. Questo rispetto viene meno, secondo me, nel momento in cui ci si infila in percorsi tortuosi. Sempre alla ricerca di cavilli e interpretazioni azzardate. In quei momenti vedo la figura delle vittime molto in lontananza. Relegate ad un ruolo marginale, mentre la principale preoccupazione rimane il rispetto degli imputati.
Concludo affermando che non odio queste persone. Non le odio perché farebbe più male ad Emma e a me che a loro. Il mio perdono però non lo avranno mai perché, anche se per lo Stato la loro colpa è lieve, sono i responsabili morali della tragedia. In questi anni ho imparato a gestire il mio dolore. A convivere con l’angoscia. Non faccio più resistenza al dolore. Non vivo nel ricordo di Emma ma immerso nella sua costante presenza. Ma la rabbia che mi trascino dietro no, quella non mi dà tregua. La rabbia per una tragedia che si poteva e doveva evitare rispettando, semplicemente, la legge. Vorrei che parte di questo peso fosse portato anche dagli imputati. Almeno moralmente.
Non voglio giudicare nessuno, ma vorrei che venisse aperto un dibattito serio e sereno. Ribadisco questa domanda: siamo certi che la giusta tutela degli imputati non leda troppo pesantemente il diritto alla giustizia delle vittime? Quale è la giusta pena per questo reato?
Signor Presidente, non è mio compito dare queste risposte. Personalmente penso che l’unica giusta e vera condanna sia il rimorso. La convivenza con la propria coscienza è più dura di qualsiasi carcere. La legge, il giudice, la società tutta, dovrebbe mettere il condannato con le spalle al muro. La mia impressione è che questo non accada. Nel nostro Paese ci sono sempre meno persone che si sentono colpevoli, anche dopo la condanna. Nessuno si assume le proprie responsabilità. Tutti si dichiarano ingiustamente condannati. E noi glielo lasciamo pensare.
Infine un pensiero ad Emma che a undici anni si definiva "timida, euforica e colorata, ma la cosa più importante è essere circondata da tanti amici che ti vogliono bene". A lei che amava scrivere racconti e pagine di diario che abbiamo raccolto nel volume "I ricordi non salvano le lacrime". Abbiamo promosso un premio letterario a suo nome dal titolo "Emma, il ricordo salvato". Dedicato ai suoi coetanei sul tema del ricordo. Non dimenticheremo mai Emma e non vogliamo che venga dimenticata da quella stessa società che le ha tolto il futuro. Facendo di lei un ricordo.
Ciao Emma, ti riabbraccerò presto.
Grazie Presidente per aver letto questa lettera, nella speranza che lei diventi portavoce della sofferenza delle vittime della tragedia della Lanterna Azzurra di Corinaldo e di tutte le altre stragi compiute nel nome del menefreghismo, della superficialità, dell’avidità.
In ricordo di Emma, Asia, Benedetta, Mattia, Daniele ed Eleonora”.

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