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Sono stanchi e abbastanza sfiduciati nella Giustizia i parenti delle vittime di Rigopiano che si sono ritrovate oggi a Roma dove si è aperto in Corte di Cassazione l’ultimo atto del processo per la tragedia dell’hotel di Farindola, dove il 18 gennaio 2017 i loro parenti rimasero intrappolati sotto una valanga, dopo uno sciame sismico.

Morirono 29 persone fra ospiti e dipendenti, undici i superstiti.



Gli ermellini sono chiamati a decidere sui vari ricorsi presentati a seguito della sentenza dello scorso febbraio in Corte d’Appello a L’Aquila quando, a conferma delle condanne in primo grado per il sindaco di Farindola (Pescara) Ilario Lacchetta, per i dirigenti della Provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio e, per abuso edilizio, il gestore dell’hotel, Bruno Di Tommaso, e il tecnico Giuseppe Gatto, si sono aggiunte le condanne a un anno e 8 mesi per l’allora prefetto di Pescara Francesco Provolo, per omissione di atti d’ufficio e falso e per la mancata attivazione del Centro Coordinamento Soccorsi, e il suo vice Leonardo Bianco per il solo reato di falso.

Questa mattina si è svolta la lunga relazione della Procura Generale, quindi le parti civili; nell’udienza di domani parola alle difese per una sentenza che dovrebbe giungere tra domani sera e venerdì mattina.

Si punta da una parte a reinserire il reato di disastro; dall’altra, in particolare per quanto riguarda la posizione dell’ex prefetto Provolo, a far cadere i presupposti per le condanne di primo e secondo grado.

Giancluca Tanda, fratello di Marco e portavoce del Comitato vittime di Rigopiano, chiede che: "Il Prefetto risponda anche di omicidio colposo". 

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