Fermo – Accoltellato un magrebino a Lido Tre Archi, forse un regolamento di conti

L’ombra di un regolamento di conti, consumato negli ambienti della malavita, dietro l’agguato avvenuto ieri pomeriggio a Lido Tre Archi di Fermo. E’ questa la pista seguita dagli investigatori nell’ambito delle indagini sull’ennesimo fatto di sangue che ha trascinato il difficile quartiere sulle pagine di cronaca. Un pomeriggio di ordinaria violenza in via Mattarella, dove intorno alle 18 di lunedì due squadre dei Carabinieri della Compagnia di Fermo, coadiuvati dagli agenti di Polizia, sono intervenuti per soccorrere un trentenne magrebino che poco prima era stato brutalmente accoltellato al torace. Sul posto, il personale sanitario della Croce Verde di Porto Sant’Elpidio che, considerata la profondità delle ferite ha immediatamente richiesto l’arrivo dell’eliambulanza. Una volta stabilizzato, il giovane è stato caricato a bordo di Icaro e elitrasportato all’Ospedale Torrette dove è arrivato in codice rosso. La prognosi resta riservata anche se non sarebbe in pericolo di vita. Potrebbe essere proprio il trentenne a fornire dettagli utili agli investigatori per risalire all’identità del suo o dei suoi aggressori. Non è escluso, infatti, che ad agire possa essere stata più di una persona. Così come restano aperte tutte le piste. Secondo una prima ricostruzione, l’aggressione si sarebbe consumata tra nordafricani.         

Forse, dietro l’agguato un regolamento di conti legato al controllo del mercato della droga lungo la costa. I militari hanno già acquisito i filmati delle telecamere di videosorveglianza, a caccia di dettagli utili. Intanto, per i residenti del popoloso quartiere fermano si riaccende la paura. Sempre a Lido Tre Archi, appena un mese fa, una lite da un albanese e due tunisini era finita in sparatoria, con uno dei due nordafricani ferito gravemente dopo che uno dei proiettili esplosi lo aveva raggiunto ad una gamba. A inizio aprile era pure partita una petizione popolare con oltre 2 mila firme raccolte per chiedere al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, di istituire un presidio fisso di forze dell’ordine. Trenta giorni dopo il quartiere resta una polveriera pronta ad esplodere.