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Una complessa indagine portata avanti dal Nucleo Informativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Teramo ha permesso di denucniare tre persone, tutte accusate di aver cercato di ottenere benefici penitenziari facendo ricorso a dichiarazioni false e documenti fittizi.

 Al centro della vicenda, tre soggetti che, con ruoli differenti, avrebbero costruito un quadro artificiale di reinserimento sociale, basato su relazioni lavorative inesistenti e contesti economici ormai inattivi.

Il profilo degli indagati e la dinamica delle false attestazioni
I protagonisti dell’indagine sono un uomo italiano di 48 anni, già noto alle forze dell’ordine; una donna della stessa età, attualmente agli arresti domiciliari e senza occupazione formale; e un cittadino extracomunitario di 34 anni, detenuto in un istituto penitenziario umbro. Le accuse per tutti fanno riferimento agli articoli 374-bis e 495 del Codice Penale, ovvero falsità in atti diretti all’Autorità Giudiziaria e false dichiarazioni a pubblico ufficiale.

In particolare, è emerso che l’uomo avrebbe dichiarato falsamente che la donna lavorasse presso una propria attività economica, formalmente registrata ma di fatto inattiva da almeno un anno. Lo scopo? Favorire la concessione di permessi di uscita nell’ambito della misura alternativa alla detenzione domiciliare.

Nel secondo caso, il detenuto extracomunitario avrebbe prodotto documentazione che lo indicava come dipendente di un’impresa del teramano, anch’essa risultata inattiva sin dal 2023. Con questa dichiarazione, mirava a ottenere la liberazione anticipata, prevista per i detenuti che dimostrano percorsi di reinserimento attivi e concreti.

Gli esiti dell’indagine e le conseguenze
L’attività del Nucleo Informativo ha consentito di bloccare entrambi i tentativi: il beneficio concesso alla donna è stato revocato, mentre la richiesta presentata dal detenuto è stata respinta. Due decisioni che evidenziano come, dietro documenti apparentemente in regola, si celasse una vera e propria messa in scena orchestrata con accuratezza, ma sventata grazie a un attento lavoro di verifica incrociata.

L’intervento tempestivo dei Carabinieri ha evitato che misure pensate per favorire il reinserimento sociale dei detenuti realmente meritevoli venissero strumentalizzate da chi intendeva eluderle per tornaconto personale. Un comportamento che mina la credibilità dell’intero sistema esecutivo penale, compromettendo uno degli strumenti più delicati della giustizia italiana: la possibilità, vigilata e regolata, di reinserirsi nella società in modo graduale e responsabile.

Il valore dell’attività investigativa nella tutela della legalità
L’indagine si inserisce in un contesto più ampio di controllo sulla correttezza delle procedure penali. I Nuclei Informativi dell’Arma dei Carabinieri, spesso impegnati in operazioni ad alto contenuto strategico, hanno mostrato in questo caso come l’attività di intelligence e verifica possa garantire trasparenza ed equità anche nei contesti apparentemente più burocratici, come quello dell’esecuzione penale.

La vicenda assume una valenza particolare alla luce del fatto che la concessione dei benefici penitenziari rappresenta uno degli strumenti più nobili del diritto penale, volto a favorire la rieducazione del condannato, come previsto dall’art. 27 della Costituzione. Il tentativo di piegarli a fini opportunistici non è solo un reato, ma rappresenta un grave tradimento dello spirito rieducativo su cui si fonda l’ordinamento penitenziario.

Un monito per il futuro
L’Arma dei Carabinieri rinnova il proprio impegno nella tutela della legalità e trasparenza, affinché le norme non diventino strumento di abuso, ma restino presidio di giustizia e civiltà. L’episodio accertato a Teramo suona come un monito: non ci può essere reinserimento senza verità, né giustizia senza onestà. E dove qualcuno cerca scorciatoie, lo Stato è chiamato a vigilare con fermezza.








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