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Tragico episodio nel carcere di Teramo, dove Giuseppe Santoleri, 77 anni, si è tolto la vita nella notte. L’uomo, condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio dell’ex moglie, la pittrice Renata Rapposelli, avvenuto nel 2017, era detenuto nella sezione protetta della casa circondariale di Castrogno. La donna viveva ad Ancona e sarebbe stata uccisa dall’ex marito e dal figlio Simone a Giulianova, dove i due vivevano e dove si era recata in visita. Il corpo venne poi rinvenuto nelle campagne maceratesi. Secondo i primi accertamenti, Santoleri si sarebbe strangolato utilizzando la struttura del suo letto. La Procura di Teramo ha aperto un’indagine e ha disposto l’autopsia per chiarire le circostanze del decesso. Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Spp), ha espresso profonda preoccupazione per l’ennesimo suicidio avvenuto nelle carceri italiane, denunciando una crescente indifferenza verso queste tragedie. «Ennesimo suicidio nel carcere di Teramo. Oramai non interessa più a nessuno la morte dei detenuti nelle carceri, un suicidio al giorno, sempre più giovani e senza una condanna definitiva e con reati lievi». Dall’inizio dell’anno sono già 44 i detenuti che si sono tolti la vita. L’avvocata di Santoleri, Federica Di Nicola, ha lanciato un’accusa pesante contro lo Stato italiano, ritenuto responsabile della morte del suo assistito. «Santoleri è stato ammazzato dallo Stato italiano, dalle lungaggini processuali e dall’incuria ed inadeguatezza dell’Istituto carcerario» ha detto. Di Nicola ha sottolineato come Santoleri fosse malato da tempo e avesse chiesto più volte, senza successo, di essere trasferito in una struttura alternativa al carcere. «Era un uomo malato, anziano, sfinito da un vissuto logorante. Le sue condizioni di salute erano incompatibili con la detenzione carceraria. Per questo ho lottato per ottenere una misura alternativa alla detenzione, con istanza depositata il 18 gennaio scorso presso il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila: avevo trovato una struttura in Selva di Altino (Chieti) idonea a garantirgli le cure necessarie». Nonostante le precarie condizioni di salute del detenuto, il Tribunale di sorveglianza ha rinviato l’udienza ben tre volte. «Il mio assistito mi aveva preannunciato che non avrebbe aspettato l’udienza del 18 luglio, ma avevo cercato di confortarlo e rassicurarlo, promettendogli che sarebbe stato l’ultimo rinvio». Questa nuova tragedia riaccende il dibattito sulla condizione delle carceri italiane e sulla necessità di riforme urgenti per migliorare le condizioni di detenzione e tutelare la salute dei detenuti. Le parole dell’avvocata Di Nicola e del segretario Di Giacomo sollecitano un intervento immediato delle istituzioni per prevenire ulteriori tragedie e garantire un trattamento più umano ai detenuti.

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